Serata tranquilla. Sono le 21:00 e ho già finito di cenare. Dopo i 30 anni, questo vuol dire che c’è la possibilità di guardare un film senza addormentarsi. Non è una certezza matematica, ma ci sono buone speranze di successo.
Tutto dipende anche dalla prima fase: la scelta del film. Molte persone sono cadute spesso durante questa fase delicatissima di scorrimento di titoli su titoli. Ma ho fortuna e dopo poco incontro un film che sembra perfetto per quella serata oziosa: Assassinio sul Nilo, del 1978. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Agatha Christie, con protagonista il celebre investigatore Poirot.
Il film scorre bene, prima di mezzanotte finisco la visione ma resto con una domanda che mi ronza nella testa. No, non si tratta di capire le deduzioni cervellotiche di Poirot o ricostruire la timeline degli eventi per vedere se tutto torna, la domanda è molto più semplice (forse): come mai il film non è nell’Olimpo dei film cult della comunità LGBTQ+? Lassù accanto a La morte ti fa bella e La signora ammazzatutti?
Mi dirigo verso il letto, ma purtroppo questa domanda comincia a rimbalzare da una parte all’altra del cervello e si moltiplica. Come mai mi è sembrato un film così queer? Non ci sono personaggi queer. Quindi cos’è quella gaiezza che percepisco a ogni battuta?
Prepara i bagagli perché stiamo per imbarcarci su una crociera lunga quasi un secolo alla scoperta del cinema camp.
Non c’è cult senza camp
La notte insonne, e svariate ricerche mi hanno portato a una soluzione: Assassinio sul Nilo non è queer ma camp. Ma cosa vuol dire camp?
Domanda difficilissima a cui ha già provato a rispondere Susan Sontag, nel suo Notes on “camp” del 1964. La scrittrice stila una lista di ben 58 punti (appunti, è più corretto) per cercare di trovare una definizione. Il camp, partendo dalla definizione generale data nel primo appunto, è «un modo di vedere il mondo come un fenomeno estetico. Quel modo, il modo Camp, non si intende in termini di bellezza, ma in termini di artificialità e stilizzazione».
Definizione che in realtà ci aiuta molto poco. Ci viene in soccorso il quarto punto in cui la scrittrice ci fa alcuni esempi: le lampade Tiffany, Il lago dei Cigni, le opere di Bellini, la Salomè di Visconti, il King Kong di Schoedsack. Sono tutti camp.
Se ancora il concetto ti è un po’ oscuro, non preoccuparti: sei in buona compagnia. Ho dovuto continuare a scorrere la lista per riuscire a farmi un’idea più precisa. Mi sono venuti in soccorso i punti 7 e 8 della lista in cui con chiarezza viene detto che «tutto ciò che è camp, contiene un ampio elemento di artificio». E continua. «Camp è l’amore per l’esagerato, per quel qualcosa “fuori posto”, per quelle cose-che-sono-quello-che-non-sono». Ad esempio, l’ Art Nouveau (così come il nostro italiano stile Liberty) è camp con le sue lampade e i suoi mobili a forma di fiori.
Sì, ma ci sono ancora diverse domande a cui dobbiamo rispondere. In ordine:
- Perché lo stile camp è particolarmente apprezzato dalla comunità LGBTQ+ e, anzi, spesso viene definito “ironia gay”?
- Quali sono i film che possono essere considerati camp?
- Per finire: come mai Assassinio sul Nilo deve almeno ricevere una nomination essere eletto a cult camp?
Il camp e l’”ironia gay”
Per togliersi ogni dubbio, partiamo dal dire che il termine camp, deriva da una parola utilizzata nella comunità LGBTQ+: camper, che si usa per definire qualcuno che usa posa in maniera esagerata e teatrale.
Ancora Sontag ci aiuta con qualche punto della sua lista, con concetti forse un po’ antiquati oggi, ma che ancora rendono l’idea dello stretto legame tra queer e camp. Al punto 51, ad esempio, ci dice che «non è vero che il gusto camp è gusto gay, c’è senza dubbio un’affinità e i due si sovrappongono». Ci dice anche, però, che i gay sono i paladini del camp.
Per spiegarci il perché, si spinge in una divagazione in cui crea un parallelo tra ebrei e comunità LGBTQ+ piuttosto discutibile, ma sottolinea un concetto che mi ha colpito personalmente: il camp è collegato all’atteggiamento snob aristocratico e i gay sono attratti da questo tipo di atteggiamento, in quanto, spesso, di gusto aristocratico. Colpito e affondato.
Non facciamo di tutta l’erba un fascio, però ammetto le mie colpe: mi piace sedermi con la schiena dritta, mentre bevo il mio Dirty Martini, disquisendo di musica barocca e di letteratura. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Insomma, c’è una profonda interconnessione tra il gusto LGBTQ+ e il camp. Pensiamo anche ai drag show, alla loro ironia, alle citazioni alte mischiate a quelle più basse e volgari. Due personaggi italiani che senza dubbio incarnano il camp e l’ironia gay sono Aldo Busi e Platinette: entrambi colti, raffinati, capaci di offendere con un elegante giro di parole e pronti parlare degli argomenti più scabrosi, senza mai risultare volgari.
Da dove provenga questa connessione, forse nessuno sa dirlo, ma dammi il tempo di prepararmi un tè e di sedermi sulla mia poltrona. Lì, alla luce della mia piccola lampada Tiffany, sarò lieto di passare al prossimo punto della lista e di elencarti, quindi, i miei film camp imprescindibili.
I 10 migliori film camp di sempre
Prima di arrivare al dunque e spiegarti perché credo che Assassinio sul Nilo meriti di diventare un cult, è giusto stilare una lista dei film più camp che io conosca, e cosa le renda tali. Ricordo che definire il camp è difficilissimo, forse impossibile. Quindi questa selezione è da considerarsi del tutto personale, anche se ho cercato di trovare elementi oggettivamente camp.
Mi soffermerò in particolar modo sulle pellicole che contengono quel misterioso e colorato “gusto gay” di cui abbiamo parlato sopra. Altri titoli che vengono all’unanimità ritenuti camp, a mio parere rientrano piuttosto nella categoria trash, come ad esempio, The Room (2003) o Sharknado (2013).
Metropolis (1927)
Forse non tutti lo considerano un film camp, ma consentitemi di ricordare la scena della danza di Maria.
Lo stile anni ‘20, in ogni caso, è camp, lo dice anche Sontag nella sua lista. Inoltre, il modo di recitare nel cinema muto, dominato dal metodo Dussart, era basato sull’esagerazione e sull’artificiosità, le colonne portanti del camp.
Viale del tramonto (1950)
Una diva del cinema muto decaduta, interpretata da Gloria Swanson. E quando ci sono dive di mezzo, difficilmente non si finisce nel camp. Vogliamo aggiungere anche che la protagonista, ormai attempatella, vuole tornare sul grande schermo per interpretare il personaggio ventenne di Salomè?
E se non bastasse chiudo con: «io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo!»
Eva contro Eva (1950)
Bette Davis e Anne Baxter. E già questo potrebbe bastare. Ma non finisce qui: Davis interpreta una diva isterica di Broadway e Baxter un’aspirante attrice che vuole soffiarle le luci della ribalta. Ancora divismo, ancora decadenza, ancora cocktail Martini.
Che fine ha fatto Baby Jane? (1962)
Probabilmente la vetta massima del cinema camp. Interpretato da Bette Davis e Joan Crawford, due rivali non solo sullo schermo, ma anche nella vita. Di nuovo si presenta il tema della diva decaduta. In questo caso si parla di una baby-diva, che affronta il suo rapido declino cominciando a crescere. Passati i 50 anni, Baby Jane sfoga le sue frustrazioni sulla sorella invalida che, a suo parere, le avrebbe distrutto la carriera.
A questa faida fuori e dentro lo schermo, Ryan Murphy ha deciso di dedicare la prima stagione di Feud, scritturando Jessica Lange e Susan Sarandon. Ovviamente anche la serie entra di diritto tra i cult camp.
The Rocky Horror Picture Show (1975)
Considerato all’unanimità il capolavoro camp. Non contiene quelle esagerazioni divistiche delle pellicole citate finora. Però come dimenticare la chiesa che si prepara per un funerale durante Dammit, Janet!, o l’ingresso di Frank-N-Further. È forse l’unico film di questa lista in cui la tematica queer sia esplicita. Ma non mancano gli altri elementi camp come (e soprattutto) le esagerazioni e l’umorismo nero.
La morte ti fa bella (1992)
Una diva ormai al termine della sua carriera è ossessionata dal suo invecchiamento. La sua storica anima/nemica e rivale in amore, dopo anni di isolamento, torna in pubblico esibendo un forma fisica eccezionale. Tutto merito di un misterioso elisir di giovinezza. I temi cari del camp: dive al tramonto; un cast di star come Meryl Streep, Goldie Hawn e Isabella Rossellini; faide al femminile; recitazione sempre sopra le righe; humor nero.
Forse il mio titolo preferito in questa lista. Conosco le battute a memoria.
«Legge della natura un cazzo!»
Hocus Pocus (1993)
Un classico per bambini e ragazzi Disney, già da diverso tempo elevato a culto per la comunità LGBTQ+. Perché? Chiaramente perché è super-camp! Innanzitutto la storia: tre streghe del XVII secolo sono portate nel presente e cercano di rubare l’energia vitale per rimanere giovani. Quindi, umorismo nero, Bette Midler, Sarah Jessica Parker e Kathy Najimy e soprattutto, I put a spell on you! Perché dai, il musical è sempre un po’ camp e forse è per questo che lo amo.
Il club delle prime mogli (1996)
Tre donne divorziate si uniscono per vendicarsi degli ex mariti. Nel cast Goldie Hawn, Diane Keaton, Bette Midler, Sarah Jessica Parker, Maggie Smith. Nomi ricorrenti nei classici elencati fino a qua. E ancora un gruppo di protagoniste tutto al femminile, tutte arrabbiate e vendicative e un altro classico della musica reinterpretato in una scena indimenticabile.
Il diavolo veste prada (2006)
Meryl Streep interpreta la terribile Miranda Priestly in questo classico camp che racconta i dietro le quinte di una prestigiosa rivista di moda. Il film racconta la storia di Andy, interpretata da Anne Hathaway, che viene catapultata nel mondo della moda, a cui non appartiene. Non credo sia necessario aggiungere altro per capire come mai questo film possa essere considerato un cult camp.
American Horror Story: Coven (2014)
Con Ryan Murphy si va sempre sul sicuro. Nel senso che anche nella produzione più seria, troveremo sempre un elemento trash o camp indimenticabile. Coven è l’esempio perfetto. La terza stagione di AHS è ambientata nella sede di una congrega di streghe. Cast quasi completamente femminile, tra cui spiccano nomi altisonanti come Jessica Lange, Kathy Bates, Angela Bassett e Patti LuPone. Interpretazioni sempre esagerate, faide e battute epiche. Più camp di così, si muore.
«Balenciaga!»
Dopo aver compilato questa lista, direi che abbiamo tutti gli elementi per definire meglio il camp cinematografico, o almeno, possiamo dire cosa accomuna tutte queste pellicole:
- un cast di star quasi completamente al femminile (punti extra per Bette Davis, Joan Crawford, Bette Midler e Meryl Streep);
- humor nero e omicidi;
- recitazione sopra le righe;
- dive decadute;
- aristocrazia;
- faide;
- look retro (meglio ancora se anni ‘20);
- elementi soprannaturali.
Arriviamo, quindi, finalmente al dunque.
Perché Assassinio sul Nilo è un cult camp?
Assassinio sul Nilo è un film del 1978 diretto da John Guillermin, autore non troppo conosciuto famoso soprattutto per il suo remake di King Kong nel 1976. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Agatha Christie del 1937 e cerca di replicare il successo ottenuto dal film del 1974 Assassinio sull’Orient Express, sempre tratto da Agatha Christie. Purtroppo, però, non decollerà mai al botteghino.
Racconta una lunga storia di gelosia che sfocia alla fine nell’omicidio di un’ereditiera proprio durante una crociera sul Nilo. Provvidenziale è la presenza di Hercule Poirot sul battello, che con le sue brillanti deduzioni, cercherà di risolvere il caso.
Uno degli elementi camp che subito lo accomuna agli altri titoli che ho citato, è quindi sicuramente la presenza di un omicidio.
Camp, LGBTQ+ e whodunit
È necessario aprire una piccola parentesi sul fatto che molti dei film considerati camp, prevedano in qualche misura violenza e omicidi. Molti altri film whodunit che non ho inserito nella lista sono considerati dei cult camp, come Signori, il delitto è servito (1985) e Invito a cena con delitto (1976). E che dire de La signora in giallo? La celebre serie con Angela Lansbury, diventata un caposaldo della cultura LGBTQ+?
In tempi recenti, in Italia, si è notato un certo fermento non soltanto nei confronti dei whodunit, ma anche per i programmi legati a casi reali, come Un giorno in pretura o Chi l’ha visto?, complici forse sono le regie e le conduzioni che insistono sui passaggi più scabrosi o volgari. Questi programmi rendono la visione di un processo per omicidio, che per sua natura dovrebbe essere una cosa piuttosto seria, in un’esperienza divertente.
Tutto questo rientra nella natura del camp, e si lega all’umorismo nero. La leggerezza, più o meno ingenua, nel trattare gli argomenti seri e importanti, infatti è uno dei pilastri su cui si regge il camp. Ma forse non è sufficiente per rendere Assassinio sul Nilo, un cult. Serve altro.
Cast
Quando scorrono i titoli di testa, si resta senza fiato: Mia Farrow, Bette Davis, Angela Lansbury, Maggie Smith. Tutte insieme. Nonostante i protagonisti possano essere considerati Poirot, interpretato da Peter Ustinov, e il colonnello Race, David Niven, le interpretazioni che rimangono più nel cuore sono quelle del cast di dive. Questo è forse anche dovuto al fatto che nel ruolo di Poirot non sia stato scritturato Albert Finney, incredibile nella sua interpretazione in Assassinio sull’Orient Express. L’attore rifiutò la parte per la paura di affrontare le riprese con tutto il trucco necessario per interpretare il personaggio, in condizioni climatiche estreme (si racconta di temperature vicine ai 50°C a mezzogiorno).
Non solo, molte delle attrici interpretano ruoli di persone in competizione, come Bette Davis e Maggie Smith, che interpretano rispettivamente il ruolo di Maria Van Schuyler, una ricca donna americana, e miss Bowers, la sua accompagnatrice. C’è uno scambio di battute davvero epico quando il responsabile della crociera decide di assegnare gli alloggi basandosi sulla propria intuizione e confonde le due per madre e figlia.
Responsabile: «Ho qui una lista di nomi e di alloggi, guardandovi in faccia indovinerò chi siete: voi siete la signora e la signorina Otterbourne, dico bene?»
Maria Van Schuyler: «Dice male. Io sono la signorina Van Schuyler e vorrei essere condotta subito nella mia cabina. Per Bowers, desidero la cabina di fronte alla mia, sul lato destro. Il forte sole del primo pomeriggio potrà forse migliorare il cadaverico pallore che la contraddistingue».
Angela Lansbury, invece, interpreta un’eccentrica scrittrice alcolizzata, autrice di romanzi piuttosto piccanti e discutibili. Chiaramente è quasi sempre avvinazzata e si lancia in avances piuttosto esplicite.
«Oh, il delitto passionale, il primitivo istinto di uccidere. Alleato naturale dell’istinto sessuale!»
E giusto perché voglio ricordarti che scritturare Bette Davis conferisca un punto extra, l’attrice dichiarò, lamentandosi della location: «ai miei tempi, l’Egitto sarebbe stato portato da me».
I costumi
Insomma, abbiamo quasi tutti gli elementi della lista: cast di dive, omicidi, humor nero, recitazione esagerata, faide al femminile, aristocrazia. Ma ancora non abbiamo citato uno degli elementi principali di questo film, che non a caso ha fatto vincere al film un Oscar: i costumi di Anthony Powell. Infatti i costumi sono ispirati ai ruggenti anni ‘20, che, come già spiegato, rappresentano un altro degli elementi essenziali per lo stile camp.
Frange e lustrini, oltre alle scarpe indossate da Lois Chiles, provenienti dalla collezione di una miliardaria, oppure le scarpe indossate da Bette Davis che si dice essere state ricavate dalle scaglie di 26 pitoni.
Facciamo diventare Assassinio sul Nilo un cult camp!
Quindi, finalmente posso andare a dormire tranquillo. Credo di aver capito perché reputo Assassinio sul Nilo un cult LGBTQ+ e credo di aver capito cosa sia il camp. Manca soltanto un ultimo passaggio: far sì che il film diventi a tutti gli effetti un cult camp.
Quindi, come prima cosa, ti invito a guardare il film (reperibile su Prime Video) e poi a spargere la voce in giro. Se vuoi, non solo diffondendo il film e la cultura camp, ma anche condividendo questo articolo o utilizzando i nostri profili social.