venerdì, Aprile 19, 2024
Produzioni NeonLucid Dream Festival: le recensioni dei cortometraggi - PARTE 1

Lucid Dream Festival: le recensioni dei cortometraggi – PARTE 1

Nel weekend del 3-4-5 marzo si è tenuto al Cinema Arsenale di Pisa il Lucid Dream Festival, organizzato da Neon Film & Arts, nostra associazione.

Il festival ha come focus il cinema fantastico, in particolare quello italiano. Già, perché contrariamente a quello a cui siamo abituati a sentire, il cinema fantastico italiano esiste e dà vita a meravigliosi progetti.

Sono stati tre giorni intensi, ricchi di film e interessanti incontri, e siamo molto felici di aver visto un’attentissima partecipazione da chi è stato con noi.

Prima di entrare nel vivo, però, noi organizzatori abbiamo potuto visionare i corti che ci sono stati inviati da tutto il mondo. Dai più di 200 film che abbiamo ricevuto sulla piattaforma di FilmFreeway, abbiamo tratto i 66 corti finalisti che a loro volta sono stati giudicati da esperti del settore.

I film in concorso si dividevano in 4 categorie:

  • Cortometraggi italiani
  • Cortometraggi internazionali
  • Cortometraggi d’animazione
  • Categoria Lucid Dream, dedicata ai progetti più onirici.

Con questo primo articolo vogliamo inaugurare una serie dedicata alle recensioni dei cortometraggi in concorso. Iniziando dalla categoria cortometraggi internazionali. Quindi bando alle ciance, ecco le nostre recensioni dei cortometraggi del Lucid Dream Festival.

Lucid Dream Festival 2023: le recensioni dei cortometraggi internazionali

Boanthropy di Yuri Orlov

Locandina Boanthropy di Yuri Orlov

Quella di Yuri Orlov è una critica all’indifferenza e alla negligenza della società in cui viviamo. Boanthropy racconta la nascita di una malattia sconosciuta, di cui si minaccia la diffusione. La tempistica non è casuale e funziona perfettamente: dopo una pandemia globale niente è più ansiogeno del timore di un’influenza nata in un allevamento di bovini. 

Nonostante questo, il cortometraggio di Orlov rimane leggero e piacevole, sebbene costruisca una critica tagliente ai suoi compaesani con interessanti espedienti comici presi direttamente da stereotipi comuni. 

Il finale, poi, è completamente inaspettato: un avvertimento a non dare niente per scontato, soprattutto quando quel niente ha gli occhi viola.

Chrysalis di Mathilde Rey 

Locandina Chrysalide

Si tratta di un’opera prima e di un progetto accademico, ma tutto sembra tranne che un prodotto acerbo. Mathilde Rey, a 21 anni dirige un cortometraggio maturo che indaga sulla sessualità e sui rapporti umani. Iris, la protagonista del cortometraggio, soffre di disturbi di natura sessuale. Durante il riconoscimento del corpo della madre, nota uno strano tatuaggio a forma di farfalla che sembra aver cambiato posizione. Mentre si addentra nella vita finora sconosciuta della madre, si rende conto che c’è un filo sottile che le unisce, e non è soltanto il legame di sangue. Questa epifania la conduce a una metamorfosi.

Un’opera elegante, diretta con intelligenza. Gli importanti temi trattati sono sviluppati con saggezza e senza volgarità. E questo è solo il suo primo film! Non vediamo l’ora di vedere i prossimi!

Corner Boy di William May

William May racchiude la follia in un piccolo, desolato ufficio. 

Le quattro claustrofobiche pareti che si chiudono sul neo assunto protagonista, creano uno spazio metafisico, sospeso nel tempo. 

Lo stesso vale per il sorriso pietrificato del datore di lavoro la cui presenza apre e chiude il corto, a rimarcare la trappola in cui il ragazzo è rimasto incastrato.

La monotonia della ripetizione lavorativa viene rotta da una voce proveniente dallo stesso angolo in cui spesso si posiziona la macchina da presa. Dietro lo schedario si nasconde, infatti, un infinito raggiungibile solo attraverso un pagamento in sangue e dolore; le tracce lasciate da chi vi lavorava prima ce lo dicono, le azioni dell’impiegato lo confermano: vi si arriva solo prendendo a testate il muro, come se si dovesse nascere di nuovo.

Dead End di Dima Barch

Locandina Dead End

Il giovane e talentuoso regista Dima Barch firma un cortometraggio enigmatico che intreccia registri e generi. Quello predominante è l’horror, con chiare allusioni a uno dei film preferiti del regista: It follows. Un ragazzo è inseguito dal suo ex fidanzato, una sorta di presenza soprannaturale (forse un’Erinni, come suggerisce la didascalia all’inizio del corto?) che sembra anticipare ogni sua mossa. Il ritmo incalzante e la fotografia incredibile confezionano un film che va al di là del genere, fino a sfociare nella critica sociale. Il film e il regista sono, infatti, russi, una nazione in cui, come sappiamo, non è facile appartenere alla comunità LGBTQ+. Il film riesce a parlare delle difficoltà di essere apertamente gay e vivere in Russia con una grande maturità artistica.

Gateway di Christopher Cunetto

Locandina Gateway

Tutto inizia dalla surreale scoperta di una “luce senziente” avvistata attraverso un telescopio. Una premessa che già fa aderire il cortometraggio alla perfezione con i temi del Lucid Dream Festival (tralasciando il fatto che anche la palette di colori è perfettamente in linea con quella del festival). Ma a parte queste minuzie, Christopher Cunetto dipinge un ritratto struggente del percorso di accettazione del lutto. La regia è pulita, non cerca virtuosismi, ma si concentra sugli interpreti che rappresentano uno dei punti forti del cortometraggio. Carol Cadby, l’attrice che interpreta il personaggio di Lena, ci offre una performance incredibile. Impossibile non commuoversi.

Glovebox di Joseph Matarrese, Phillip Matarrese

Locandina Glovebox

Si parla di un’automobile stregata, ma è necessario fare subito una premessa: non ha niente a che vedere con Christine – La macchina infernale. Il cortometraggio dei fratelli Matarrese, fa leva su un’ironia che manca nella storia firmata Stephen King. Il giovane protagonista della storia riceve in dono dal padre una Mustang usata (molto usata), che però nasconde un segreto: è infestata da un’entità che lo spingerà a commettere atti terribili. 

L’atmosfera è quella del classico horror americano, eppure la scrittura e la sequenza finale (che ricorda un po’ il celebre “feed me, Seymour” de La piccola bottega degli orrori) alleggeriscono il prodotto. È un prodotto realizzato in maniera impeccabile, ma che strizza l’occhio e ti sussurra con una voce inquietante proveniente dall’autoradio: “non prendiamoci troppo sul serio”.

Half Samurai di Rashad Haughton

Locandina Half Samurai

Uno dei pochi cortometraggi in concorso a regalarci un po’ di epicità, in grado di creare nel giro di pochi minuti un universo costellato di personaggi interessanti e tridimensionali. Nella notte di Halloween un personaggio ambiguo entra in un bar molto discutibile, gestito da una gang criminale giapponese. Quella che sembra una coincidenza, in realtà si rivela essere una visita premeditata. C’è qualcosa che lega la banda criminale allo strano avventore e lo scopriremo attraverso una sequenza d’azione che niente ha da invidiare alle grandi produzioni hollywoodiane. Rashad Haughton dirige un film che strizza l’occhio ai film di supereroi, alzando di molto l’asticella narrativa in questi 11 minuti. Infatti a fine visione si rimane con il desiderio di scoprire di più sul protagonista, sul suo passato e, soprattutto, sul suo futuro.

In The Shadow Of God di Brian Sepanzyk 

Una produzione che lascia a bocca aperta. Ed è ancora più sbalorditivo leggere che il budget è di soltanto 12.000 dollari. Dietro ogni singola inquadratura, si percepisce l’esperienza di un regista come Brian Sepanzyk, proveniente dai grandi set hollywoodiani.

Alla morte del padre, Rachel, raggiunge la casa di famiglia. Una spirale di scoperte inquietanti la conduce verso un incubo che giace sotto il terreno della casa, rimasto nascosto ai suoi occhi (e a quelli di tutta la cittadina) fino a quel momento. Con qualche citazione più o meno velata alle opere di Ari Aster, In The Shadow Of God, è un piccolo horror soltanto nelle dimensioni, non nella qualità. Potrebbe trattarsi senza problemi del prologo di un grande film americano. Film che, senza ombra di dubbio, andremmo subito a vedere.

INCUBUS di Tito Fernandes

locandina INCUBUS

Anche se il film parla di paralisi del sonno, non dobbiamo aspettarci la cosa già vista e rivista a cominciare dal celebre The Nightmare e sviluppata magnificamente da The Haunting of Hill House. In questo caso, la paralisi del sonno e le allucinazioni (incubus, per l’appunto), sono un pretesto per parlare di un argomento più serio, ma non meno spaventoso: Tito Fernandes ti trascina in quello che ha tutta l’apparenza di un horror classico, ma che ha il nobile obiettivo di trattare in maniera alternativa il tema della violenza di genere. L’esperienza del regista nell’ambito degli effetti speciali emerge con chiarezza dalla visione del film. Ma è soltanto uno dei tanti punti di forza: a questo si deve unire l’interessante scelta scenografica (che ha anche una forte valenza narrativa) e l’interpretazione della protagonista.

La Nueva (The Newcomer) di Ivan Villamel

Se vuoi un classico horror da gustare con gli amici, allora La Nueva fa al caso tuo. In una scuola cattolica, sta arrivando Maria, una nuova insegnante che ha il compito di gestire una difficile classe in punizione. La giovane professoressa è in principio intimidita dall’arroganza degli alunni. Ma l’incontro ravvicinato con uno strano idolo di pietra, la farà cambiare completamente.

La storia è forse una delle più classiche, per gli amanti del genere. Ma la realizzazione, la fotografia e le interpretazioni (anche dei giovani alunni), rendono il film di Ivan Villamel, l’aperitivo ideale per una serata horror.  

Maryla di Guillaume Heulard

Locandina Maryla

Come dichiara lo stesso regista Guillaume Heulard, questo cortometraggio nasce dalla volontà di riscoprire l’horror, basandosi sugli stilemi, i luoghi comuni e le ambientazioni proprie del genere. E infatti, sin dalle prime inquadrature, dall’establishing della casa, si capisce che stiamo per assistere a un horror classico. E questo non è per niente una cosa negativa, anzi.

Il film racconta di due giovani influencer che gestiscono una rubrica dedicata al paranormale. Arrivate in una casa abbandonata in Polonia, dovranno affrontare alcune forze soprannaturali che metteranno a rischio il loro lavoro e la loro stessa vita. Una piccola fiaba moderna dalle tinte oscure, che si aggiudica un posto di rilievo nell’ala della nostra videoteca dedicata alle case infestate.

MILTOWN di Connor Martin, Chris Beyrooty

Locandina MILTOWN

Ecco un altro dei pochi film in grado di racchiudere in meno di 20 minuti, un intero universo, con le sue leggi e le sue creature. I registi Connor Martin e Chris Beyrooty raccontano una storia di mutaforma, confusione, equivoci e omicidi. Durante tutta la visione si ha la sensazione di assistere a qualcosa di malsano. Non si capisce se si tratti di paranoia o di soprannaturale. Ogni ambito della produzione è curato nel dettaglio, tra tutte emerge l’arguta e intelligente costruzione drammaturgica che, abbinata alla magnifica fotografia, confonde lo spettatore e lo fa immergere totalmente nella storia. I due registi sono giovani, ma già avviati verso una lunga e promettente carriera. Attendiamo con impazienza un loro lungometraggio!

Ps: anche se in questa edizione del Lucid Dream Festival non c’era, per noi MILTOWN avrebbe senza dubbio vinto il premio per la migliore locandina.

SANGUE NERO di Ophélie Nève

Locandina SANGUE NERO

Sangue Nero vince la categoria di cortometraggio fantastico internazionale del Lucid Dream Festival 2023. La regista belga ventottenne Ophélie Nève realizza un prodotto di grande stile visivo e narrativo che porta una firma inequivocabile e personale. Sangue Nero è un corto accademico realizzato con grande conoscenza del mezzo filmico e racconta una storia tanto semplice quanto simbolica, la vendetta di una ragazzina, Chiara, contro i soprusi e l’autorità del patrigno, che si manifestano in gesti violenti e coercitivi contro di lei e la figura femminile della madre. Il messaggio del cortometraggio, chiaro e inequivocabile, scardina il sistema sociale del patriarcato attraverso un gesto di ribellione, femminista, e di crescita della protagonista. Quest’ultima afferma se stessa, e simbolicamente la donna, come individuo libero. La visione, più

onirica che reale, del rito sciamanico, è la scintilla che porta il cambiamento e il coraggio di agire nella protagonista. Le sequenze delle visioni oniriche attingono dall’immaginario folkloristico europeo della stregoneria e dei riti pagani. Gli attori coinvolti non rientrano nei canoni estetici di bellezza ideali, ma sottolineano ancora una volta la scelta di stile della regista. 

Space Woman di Hadi Moussally

Locandina Space Woman

Con uno stile ibrido, che alterna momenti surreali a immagini di taglio quasi documentaristico, il regista Hadi Moussally ci racconta la solitudine. Il film racconta la storia di un’insegnante appena andata in pensione. La donna è sola. La figlia lontana e le amiche poco presenti rispetto al passato. La protagonista decide di farsi cucire un costume, per inseguire il suo sogno di diventare un’astronauta. Una space woman, per l’appunto. 

Molte sigarette, giochi sul cellulare e momenti di evasione in cui la donna finge di essere nello spazio (o forse lo crede?). La solitudine, la fantasia e, forse, i deliri di una precoce demenza senile, si sommano in maniera elegante in questo cortometraggio, accompagnati da un incredibile colonna sonora. Un prodotto dolce e amaro, che ci lascia con una punta di tristezza.

The Abyss of the Soul di Guilherme Daniel

Locandina The Abyss of the Soul

Alla prima visione di questo piccolo gioiello si rimane stregati. Anzi, ipnotizzati. Un famoso ipnotista usa su se stesso una tecnica di ipnosi proprio negli ultimi istanti della sua vita. Questo lo trattiene in una condizione a metà tra il sonno e la morte. Il suo corpo ripete con un suono gutturale e non articolato “Non dormendo… Morto”. Una situazione da brivido, intervallata da potenti immagini oniriche in un bianco e nero (e in 4:3). Guilherme Daniel confeziona quello che è davvero un piccolo tesoro, che niente ha da invidiare a lungometraggi dall’immaginario simile, come The Lighthouse di Robert Eggers. 

The Wild Roots di Nicolas Millot

Locandina The Wild Roots

La protagonista del film di Nicolas Millot è senza dubbio la foresta, rappresentata magnificamente non soltanto dalla fotografia curata e attenta, ma anche da una colonna sonora che sembra scricchiolare insieme ai rami. E insieme alle radici. Un cacciatore si addentra nella foresta per indagare sulla morte misteriosa di un suo amico. Un crescendo ci trascina nella sequenza finale dove emerge tutta la maestria dell’autore: l’uomo si riavvicina alle radici, minacciose come esseri alieni, in una scena che lascia davvero a bocca aperta. Ma queste radici, così estranee e spaventose, non sono forse le stesse radici che per molto tempo sono state le nostre fondamenta? Il tema ecologico è trattato senza scadere in banali luoghi comuni e con una grande maturità artistica e creativa.

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