martedì, Dicembre 3, 2024
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Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles – Il miglior film di tutti i tempi, o no?

Quando ho deciso di guardare Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles (per gli amici Jeanne Dielman), sapevo a cosa andavo incontro. E sono altrettanto consapevole del ginepraio in cui mi sto tuffando adesso che ho scelto di parlarne. Ho deciso di parlarne in occasione del terzo episodio del nostro podcast The Neon Picture Show – Cinema a caso.

Questo film ignorato dal grande pubblico è saltato agli onori di cronaca per essere stato eletto miglior film di sempre dalla rivista del British Film Institute Sight & Sound. Questa rivista ogni dieci anni, a partire dal 1952, conduce un sondaggio tra i critici cinematografici per compilare una lista dei migliori film di tutti i tempi. Si tratta quindi di una classifica molto prestigiosa, non di una selezione qualsiasi.

Qualcuno potrebbe dire «vabbè, si tratterà di un classifica di film europei sconosciuti». Invece no. Seguono infatti Jeanne Dielman sul podio La donna che visse due volte e Quarto potere. Quindi, com’è riuscito questo film così poco conosciuto ad arrampicarsi per tutta la classifica? È un lungo discorso e forse non c’è una risposta. Ma partiamo dall’inizio.

Delphine Seyrig in Jeanne Dielman

Jeanne Dielman: la trama

Jeanne Dielman è un film del 1975 diretto da Chantal Akerman. Si tratta di un film piuttosto impegnativo della durata di quasi tre ore e mezzo in cui succede, apparentemente, davvero poco. Il film segue per tre giorni la vita di una donna, Jeanne per l’appunto, e la sua routine quotidiana. Si sveglia, prepara la colazione, fa preparare il figlio per andare a scuola, fa compere e commissioni, prepara la cena, cuce un maglione. La donna si prostituisce durante il giorno, ricevendo a casa propria dei clienti quando il figlio non c’è, ma anche questa azione, che non rientra propriamente nella classica routine casalinga, è raccontata come se invece vi appartenesse.

Jeanne, interpretata da Delphine Seyrig, esegue ogni gesto come se fosse un rituale. E questa ritualità è immortalata senza tagli. C’è una scena, ad esempio, in cui con un’inquadratura frontale viene mostrata la preparazione per una decina di minuti la preparazione delle fettine panate. Noioso, sì. Ma anche ipnotico. Tutti quelli che vengono ritenuti tempi morti nel cinema tradizionale, qui sono mostrati, anzi, diventano il cuore della scena. Se Jeanne si deve assentare per prendere qualcosa nell’altra stanza, non ci sono tagli o ellissi temporali. Akerman ci lascia lì in attesa che ricominci l’azione.

Sul finire del secondo giorno, qualcosa comincia a incrinarsi. Jeanne fa cuocere troppo delle patate. Poi gli oggetti cominciano a caderle di mano. Il giorno dopo si sveglia in anticipo, la sua routine viene spezzata da tanti piccoli intoppi che, però, dopo due ore e mezzo di meticolosità rituale, acquisiscono un peso diverso. Il climax si ha sul finale, quando dopo aver avuto un rapporto con un suo cliente (durante il quale non si capisce se provi involontariamente un orgasmo o cerchi di sottrarsi, ma insomma, qualcosa va storto anche qua) lei afferra un paio di forbici che si trovano in camera e uccide il cliente. Anche le forbici non dovevano essere lì, uno dei tanti piccoli errori della giornata.

Anche questa scena finale è descritta senza virtuosismi, nella maniera meno spettacolarizzata che si possa immaginare: telecamera fissa con la scena riflessa nello specchio del cassettone.

Jeanne Dielman - Scena finale

Si tratta di un monumento?

Come ha detto in un’intervista Claire Atherton, una stretta collaboratrice di Chantal Akerman, «non bisogna approcciarsi a questo film come se si fosse di fronte a un monumento, altrimenti si rimarrebbe lì a guardare e a pensare a cosa ci stiamo perdendo. Invece non ci stiamo perdendo niente. È tutto lì».

Ci può colpire nell’immediato, ci può colpire dopo due giorni, tra un mese oppure può non colpirci mai. Devo essere sincero: quando ho iniziato a guardare il film l’ho fatto controvoglia, con un sacco di preconcetti, pensando «vabbè, lo guardo, così per sparlarne con gli altri!» invece no. È un film che in qualche modo ti rimane attaccato, può risultare noioso, lo ammetto perché guardare una persona che scuoce le patate, non è la cosa più allettante del mondo. Ma mette anche in discussione tanti punti fermi.

Cos’è il cinema?

Primo tra tutti: cos’è il cinema?

Su questa questione ontologica si sono interrogati tutti i teorici del cinema da Bazin a Deleuze. Non ho intenzione di stare a sproloquiare qua di argomenti di cui capisco troppo poco. La voglio mettere su un piano molto più semplice: come mai dovremmo considerare La donna che visse due volte un capolavoro e Jeanne Dielman invece non classificato? Secondo quali criteri?

Sempre prima di vedere il film mi dicevo che sì, magari si sarebbe trattato pure di un’opera interessante, ma vuoi mettere con Hitchcock? Vuoi mettere con Quarto Potere? E invece dopo averlo visto, dico che non possiamo decidere quale film “sia più capolavoro”. Posso esprimere al massimo un’opinione personale e dire che preferisco Hitchcock ad Akerman, ma più là del giudizio personale non posso spingermi.

Una scena di Jeanne Dielman

La critica cinematografica è inutile?

Quindi ecco di conseguenza, viene da chiedersi: queste classifiche “ufficiali” hanno davvero un senso? E per estensione, la critica cinematografica serve ancora a qualcosa nell’epoca di internet?

Il cinema è una cosa così soggettiva che sono stato sempre piuttosto scettico nel confronto dei pareri troppo “ufficiali” o troppo autoritari. Io stesso mi sono arrabbiato spesso in passato con persone che lodavano i cinecomic. Me ne pento? No. Però sarei molto più moderato adesso. Capisco che ognuno fruisce il cinema come preferisce. C’è chi guarda film mainstream perché non ha voglia di avventurarsi in territori sconosciuti. Chi guarda soltanto il cinema di Béla Tarr e Ozu. Il cinema è bello anche per questa vasta scelta che offre a tutti i palati.

Proprio per questo possiamo dire che Jeanne Dielman è il film più apprezzato dalla critica nel 2022. E questo lo rende migliore di Quarto Potere o di In the mood for love? No, lo rende soltanto uno dei film più amati dalla critica nel 2022. Fine.

Qualcuno che probabilmente non aveva fatto i miei stessi ragionamenti, alla pubblicazione della classifica scrisse sprezzante che Hitchcock aveva una definizione per i film come Jeanne Dielman. I film “sink to sink”, ossia da acquaio ad acquaio: una persona dopo aver lavato i piatti, esce di casa per andare al cinema a guardare una persona che lava i piatti. Si sono sprecati i titoloni di gente indignata per questa scelta. E perché si tratta di un film dichiaratamente femminista. A parte il fatto che si tratti di una regista e che tutto il film non si stacchi mai dalla protagonista femminile, quasi tutta la troupe (o forse tutta) era composta da donne.

Premi e classifiche sono politicizzati?

Per chiudere col botto, tocchiamo l’ultimo argomento. Il più divisivo. Il film è stato messo in vetta alla classifica proprio perché si tratta di un film femminista? 

Chi è senza peccato scagli la prima pietra. In maniera più o meno profonda forse lo abbiamo pensato tutti. Ma la vera questione è: e se anche fosse, è davvero un male?

Ripercorrendo quanto detto fino a qui, premi e classifiche cercano di mettere in una griglia di voti delle opere che sono tutto tranne che oggettive. Quindi, per quanto si provi ad analizzare una pellicola nella maniera più clinica possibile, saremo sempre soggetti a contaminare un voto con un parere personale. Parere che non soltanto rispecchia i nostri gusti, ma anche il contesto storico, politico e sociale in cui viviamo.

Prendiamo i premi più popolari nel panorama cinematografico: i Premi Oscar (che eviterò di criticare troppo aspramente). Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito in molte occasioni a film bruttini che sono stati candidati come miglior film o addirittura hanno vinto la statuetta. E non l’hanno fatto per meriti artistici, ma più per l’impegno politico del tema trattato o dell’attore scritturato. E vogliamo lamentarcene? Se proprio vogliamo farlo, perché riteniamo che il prestigioso Premio Oscar rappresenti oggettivamente l’intero mondo del cinema, allora cominciamo a lamentarci anche del fatto che i più bei film che escono ogni anno, se va bene, si beccano una nomination come “miglior film internazionale”. Lamentiamoci del fatto che le produzioni indipendenti non vengono minimamente considerate. Lamentiamoci del fatto che Black Panther fu candidato come miglior film. 

Ops, avevo detto che non avrei più offeso i cinecomics, pardon. 

Academy Awards - Wallace Beery, with Lionel Barrymore e Conrad Nagel

Jeanne Dielman è veramente il miglior film di tutti i tempi?

Per chiudere, è inutile starsi a lamentare del fatto che un premio o una classifica, per quanto autorevole, non rispecchi il nostro gusto o quello che noi pensiamo che sia il cinema. Perché il cinema ha milioni di sfaccettature, tutte diverse e tutte ugualmente importanti.

Jeanne Dielman per me non è il miglior film della storia, e non lo è stato neanche nel 2022, quando lo ha decretato la critica. Preferisco decisamente La donna che visse due volte, oppure Quarto Potere, o addirittura Lo zoo di Venere di Peter Greenaway che nessun premio e nessuna classifica si ricorda mai di citare.

Prima abbandoniamo l’idea che nel cinema esista una verità assoluta, soprattutto per quanto gli addetti ai lavori o i cinefili come noi, prima cominceremo a godercelo di più. E potremmo pure apprezzare un film lungo e difficile come Jeanne Dielman senza gridare allo scandalo o al capolavoro.

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