È ormai risaputo che tra le eccellenze italiane spicca quella del doppiaggio. Sentendo la voce di Ferruccio Amendola, immediatamente diciamo “Ah, ma è Robert De Niro” oppure siamo convinti che la voce di Meryl Streep sia quella di Maria Pia Di Meo. C’è chi i film preferisce guardarli in lingua originale per apprezzare di più le performance, una scelta sempre più in voga grazie alle piattaforme di streaming che permettono di fruire di un film nella lingua che preferiamo. Ma anche in questo caso, magari per un film coreano o giapponese, è spesso necessario ricorrere ai sottotitoli.
Ecco, sia il doppiaggio che i sottotitoli rientrano in quella serie di processi chiamati traduzione audiovisiva. Si tratta di procedure adottate per trasferire un messaggio da una lingua a un’altra. È un settore che agisce un po’ nell’ombra perché, soprattutto quando il lavoro è fatto bene, finisce per diventare quasi invisibile per lo spettatore.
In realtà si tratta di un lavoro molto delicato e complesso che porta con sé anche qualche responsabilità. Se lo scopo principale dovrebbe essere quello di tradurre un messaggio in maniera comprensibile, facendo sì che pure i riferimenti culturali siano chiari allo spettatore, a volte si ricorre alla traduzione audiovisiva per veicolare messaggi propagandistici o per censurare. Abbiamo voluto approfondire questo argomento con Manuel Navati, traduttore audiovisivo freelance, e Viola Biagioni, dottoressa in Scienze della mediazione linguistica.
La traduzione audiovisiva
Partiamo dal principio, ossia capire in cosa consista la traduzione audiovisiva e quali sono le libertà che può prendersi un traduttore. Lo chiediamo a Manuel.
«Come traduttore audiovisivo ho una certa libertà nella scelta delle parole, per arrivare a quello che è lo scopo principale della traduzione: rendere il prodotto naturalmente fruibile, per non farlo sembrare, appunto, una traduzione; se attenersi troppo al testo originale rischia di renderlo innaturale o strano (vedi Gualtiero Cannarsi), una resa del contenuto con parole diverse può presentare il messaggio in modo più fruibile per chi lo riceve. Se non è per scopi educativi, insomma, per insegnare vocaboli o strutture grammaticali, il prodotto finale non dovrebbe essere una traduzione letterale, ma una reinterpretazione del contenuto, un adattamento. E questa è la cosa più importante da capire quando si inizia questa professione».
Non sempre, come dicevamo, però, è così. Un caso emblematico è quello della Cina.
«La traduzione audiovisiva in Cina ha sempre avuto un doppio obiettivo: da un lato attrarre quanto più pubblico straniero possibile, e quindi incassi, traducendo le proprie produzioni», ci dice Viola. «Dall’altro avere più controllo sull’immagine della Cina e dei cinesi all’estero, da sempre vittima di stereotipi, soprattutto nel mondo del cinema (ricordiamo tutti il personaggio di Leslie Chow in “Una notte da leoni”)».
La traduzione audiovisiva come mezzo a favore della censura in Cina
«Per quanto riguarda ciò che “entra” nel paese, il regime della Repubblica Popolare Cinese ha costruito negli anni una possente barriera guidata ad oggi dal MRFT (Ministry of Radio, Film and Television)», continua Viola. «Quest’organo ha stilato una serie di regole, norme e “liste nere” che rende difficile ai blockbuster occidentali accedere al pubblico cinese. La traduzione gioca un ruolo fondamentale perché è l’unico mezzo in grado di camuffare la censura agli occhi della popolazione cinese che, soprattutto al di fuori di Pechino e Shanghai, non comprende l’inglese.
Tra i numerosi film censurati, alcuni tra i titoli più famosi sono: Kundun di Martin Scorsese, la saga di Lara Croft: Tomb Raider, Memorie di una geisha di Rob Marshall, Deadpool di Tim Miller, Suicide Squad di David Ayer.
Ci sono tanti esempi di censura per motivi storici o culturali, tra i più famosi Sette anni in Tibet di Jean-Jacques Annaud, ambientato durante l’invasione cinese del Tibet. Questo film non solo è stato bloccato dalla censura, ma ha anche causato l’espulsione di Brad Pitt da tutti i motori di ricerca cinese per qualche anno: l’attore statunitense sembrava non essere mai esistito in Cina! Un altro caso è stato la censura di Winnie The Pooh, il cartone con cui tutti noi siamo cresciuti, eliminato dalla Cina per la somiglianza dell’orsacchiotto all’attuale Presidente cinese».
Script a confronto: Oriente e Occidente
Chiediamo a Viola e Manuel di portarci alcuni esempi di scene trasformate drasticamente per fini più o meno discutibili di adattamento culturale o di censura. Manuel ci riporta l’esempio di un anime che i nati negli anni ‘90 ricordano con nostalgia, Temi d’amore tra i banchi di scuola:
«Spesso negli anni ’90 e ’00 si è assistito a importanti lavori di addomesticamento dell’opera o censura, soprattutto da parte di Mediaset, per renderle più “innocue” o “nostrane”. I nomi vengono cambiati in nomi italiani o comunque occidentali, persone con accento di Osaka ora diventano persone con accento americano, via ogni riferimento agli ideogrammi o agli yen, ecc. Un esempio lampante è l’episodio dell’anime Temi d’amore fra i banchi di scuola, opera romantica di formazione, in cui la protagonista Yuko ha la sua prima mestruazione. Questo evento la turba, ma l’adattamento italiano fa diventare il menarca “un brutto sogno”, e con le amiche Yuko discute di come tutte abbiano avuto sogni premonitori, legati ai compiti in classe. L’assorbente che Yuko riceverà diventa in italiano “un talismano per proteggere dagli incubi».
Lo stesso avviene anche in Cina.
«La traduzione interviene sui film accettati dalla censura, che però “può” modificare tutto il contenuto ricevuto», ci dice Viola. «Un esempio molto famoso è quello di Notting Hill, dove alcune espressioni sono state “corrette” dai traduttori ed i nomi cambiati in una versione più asiatica:
Testo originale (traduzione italiana):
BERNIE: “Si chiama Tessa e lavora nel reparto contratti. I capelli, lo ammetto, sono crespi e fuori moda, ma è sveglia e bacia come una ninfomane nel braccio della morte.”
Traduzione letterale della resa in cinese:
BERNIE: “Lei è Taisha del dipartimento contratti. So che dalla sua pettinatura sembra che sia stata elettrizzata, ma è allegra e si comporta con disinvoltura e sicurezza. Un suo bacio è come il fuoco dell'entusiasmo.”
«Negli Stati Uniti è nota la pratica di alcune distribuzioni di cambiare completamente il prodotto originale per renderlo più “americano”», continua Manuel. «E spesso questa versione viene venduta al resto del mondo. L’adattamento elimina tutti i riferimenti alla cultura di origine, solitamente con risultati esilaranti come nello screenshot dei Pokémon qua sotto».
Barriere culturali, giochi di parole e altre difficoltà
Spesso, comunque, eventuali storpiamenti sono necessari per garantire una maggior comprensibilità. Manuel ci racconta alcune esperienze personali in cui è stato necessario “tradire” il testo originale:
«Emblematici sono i giochi di parole, ovviamente, che raramente possono essere riportati nella lingua di arrivo. Qui entra in campo la parte più creativa del lavoro, qualcosa che i software di traduzione assistita non sono ancora in grado di eguagliare.
Porto un mio esempio: in una conversazione fra due amici in cui il primo sta svolgendo dei lavori di casa, il primo per scherzare dice “You’re so domestic”, il che porta il secondo a rispondere scherzosamente “I’m BRO-mestic”. Per questa battuta, intraducibile così com’è in italiano in quanto “bro” è usato ma non su larga scala, ho pensato di cambiare totalmente la parola “domestic”, e il risultato è stato: “Sono l’angelo del FICO-lare”. Ci sarà sempre chi contesta le tue scelte di traduzione e adattamento, e imparare a non prendere queste critiche troppo personalmente è un’altra grande parte del lavoro.
Come controllo qualità della localizzazione dei videogiochi, allo stesso tempo, sto vedendo l’altra parte della barricata: le traduzioni arrivano già pronte da professionisti esterni e ci accertiamo che siano corrette, adatte al pubblico e in caso contrario le modifichiamo.
Anche qui, un esempio: in un videogioco destinato a bambini, il nome di una missione secondaria era stato reso dal traduttore in un modo sessualmente allusivo pur di mantenere vagamente il suo significato originale; il team ha deciso di modificare questo nome per evitare lo stesso straniamento da noi vissuto e mantenere la localizzazione a prova di bambino. Quindi due lati della medaglia: la creatività del traduttore e chi, ogni tanto, deve porvi un freno».
Censura cinese: Nomadland e Bohemian Rhapsody
Viola ci ricorda che però, quando parliamo della Cina, non è possibile ridurre tutte le scelte di traduzione a una semplice libertà creativa o al nobile scopo di oltrepassare le barriere culturali. La censura cinese, come già accennato, lavora a molteplici livelli nell’ambito cinematografico, addirittura boicottando (o sarebbe più corretto dire “cancellando”) attori e registi per i motivi più disparati.
«Spesso la censura non riguarda solo gli argomenti trattati, le ambientazioni o i personaggi citati in un film, ma anche chi vi lavora. La distribuzione del film Nomadland, vincitore di un Golden Globe e di numerosi premi Oscar nel 2021 (tra i quali miglior film), fu ostacolata e il film mai proiettato nelle sale cinesi. Questo perché la regista, Chloé Zhao, fu protagonista di uno scandalo internazionale, dopo aver espresso la sua opinione riguardo al regime del governo cinese.
Oggi non vi è traccia della regista in nessun social media o motore di ricerca cinese. Una decisione come questa può danneggiare non solo la sua carriera in Cina, ormai distrutta, ma anche in Occidente. Scegliere una regista censurata in Cina per una nuova produzione esclude già l’accesso al ricco mercato cinese.
Un altro dei temi più tabù nella società cinese è l’omosessualità, perseguita a livello politico e malvista a livello sociale. In Cina viene bloccato ogni contenuto multimediale in cui vi sia un personaggio omosessuale o appartenente alla comunità LGBTQ+.
Nello stato infatti non si ha accesso a Google, Instagram, Facebook e tutte le piattaforme a cui abbiamo libero accesso in Occidente, ma vengono utilizzati dei motori di ricerca direttamente controllati dallo stato (come Baidu, Weibo e Wechat). Quindi, se a noi sembra impossibile eliminare un evento storico dalla conoscenza delle persone, in Cina accade ogni giorno!
Un esempio di comportamento omofobo nel contesto artistico ha coinvolto Rami Malek, vincitore del Premio Oscar come miglior attore in Bohemian Rhapsody. L’attore infatti ha avuto la stessa sorte di Brad Pitt, in quanto non poteva essere conosciuto per aver interpretato il famoso cantante omosessuale Freddie Mercury».
Il peso della Cina nel cinema occidentale
Quindi, anche se Pechino dista 15.000 km dall’Italia, il peso della censura cinese si ripercuote in qualche modo anche sull’industria cinematografica occidentale. Forse più di quanto ne siamo consapevoli.
«Durante la mia ricerca ho trovato molto interessante uno studio di Annie Kokas, una ricercatrice statunitense che si occupa di censura cinematografica», ci dice Viola. « Nel suo libro Hollywood in China, Kokas riporta una serie di dati e informazioni che mi hanno aperto un mondo. Infatti, il grande pubblico non sa che molti dei film prodotti negli ultimi decenni vengono scritti e “modellati” con l’obiettivo di essere approvati dal sistema di censura cinese.
Per i blockbuster occidentali infatti è importante arrivare alla fetta di mercato della Cina, un paese da più di 1 miliardo di abitanti. Questo spiega, in alcuni casi, la rimozione di scene di sesso, di violenza o di eventi storici che possano infangare il nome della Cina e della sua cultura, ma anche l’aumento di attori e attrici cinesi nel cinema occidentale».
Il futuro della traduzione audiovisiva: tra censura e revisionismo
Le parole di Viola non sono le più confortanti per chi, come noi, si augura che il cinema mainstream possa parzialmente liberarsi dalle catene del mercato e osare un po’ di più, dando spazio a storie nuove, inconsuete e originali.
Chiudiamo quindi con una domanda circa un altro argomento che sembra mettere ulteriori freni creativi alle grandi produzioni. Infatti si parla molto di revisionismo in questo ultimo periodo, in seguito alla decisione di cambiare il testo di alcuni brani del celebre film d’animazione Disney La Sirenetta.
Ben consapevoli di addentrarci in un terreno spinoso, chiediamo a Manuel cosa ne pensi e quale crede sia l’impatto del revisionismo sulla traduzione audiovisiva.
«Se un tempo la traduzione audiovisiva poteva prendersi più libertà, con magari lo scopo di strappare qualche risata (Robin Hood – Un uomo in calzamaglia ha un adattamento italiano ben più volgare del testo di origine), ora l’attenzione alla fonte è molto più alta, complici i social e la maggiore consapevolezza sociale. Credo, in futuro, ci si atterrà sempre più all’opera originale, con pochi voli pindarici o licenze artistiche, ma non credo si andrà a riscrivere ciò che è già successo nel mondo dell’audiovisivo, se non per una nuova distribuzione della stessa opera (ad esempio una nuova release home video di film o anime con doppiaggio fedele all’originale). Di certo, il mondo sta cambiando e quello della traduzione si adatta».